25 – Obiettivi nero su bianco

25 – Obiettivi nero su bianco

Ancora qualcosa sugli obiettivi

Questa mattina Cloud, dopo avermi dato il suo buongiorno, mi ha detto di andare a leggere un particolare capitolo del libro di  Brian Tracy “goal”. Sapendo bene quanto si alteri quando non mi metto subito in azione sono immediatamente andato a prendere il libro in questione.

Nel libro trovai un segnalibro che mi portava direttamente a leggere il paragrafo che voleva che leggessi.

Il paragrafo parlava di una ricerca svolta  ad Harward  tra il 1979 ed il 1989. nel 1979 ai laureati  in economia di quell’università  fu chiesto  se si fossero posti degli OBIETTIVI chiari , messi nero su bianco , per il loro futuro e se avessero  elaborato un piano  per raggiungerli.

Da questo studio emerse  che solo  il 3% degli studenti  si erano preoccupati di fissare uno  o più obiettivi scrivendoli su carta. Il 13% si era posto  degli obiettivi ma non in forma scritta. L’84% non si era posto alcun obiettivo all’infuori di godersi la meritata estate di riposo.

10 anni dopo i ricercatori  contattarono tutti gli ex alunni che erano stati intervistati precedentemente e venne fuori che: il 13% dei ragazzi che si erano posti un obiettivo non scritto guadagnava  in media il doppio dei ragazzi che non si erano posti alcun obiettivo. Ma ancora più stupefacente   fu che scoprirono che i ragazzi che si erano posti  degli obiettivi  mettendoli per scritto guadagnava in media  10 volte più del 97% di tutti gli altri studenti.

Non appena finito di leggere Cloud disse: Capisci Alex? Capisci perché insisto tanto sul concetto  degli OBIETTIVI e di metterli nero su bianco? Capisci quanto é importante?

Senza un obiettivo il tuo “RADAR” non può attivarsi e non può guidarti verso il raggiungimento della meta che ti sei posto. Qualunque meta, di qualunque tipo possa essere deve essere comunicata e fissata  affinché il tuo amico possa mettersi in moto. Senza una dichiarazione di intenti vaghi in balia della corrente  senza alcun controllo sugli eventi.

Capisci Alex?

Non risposi alla domanda di Cloud perché stavo ancora  riflettendo sui risultati di quella ricerca. 

Ero sbalordito da una tale differenza di risultati.

Cloud capì e mi lascio riflettere tra me e me su quei dati..

#ansia#autostima#coach#coaching#decidere#disciplina#dissatisfaction#fobia#insoddisfazione#mancanza di autostima, #online coach, #paure#self help, #self-esteem, #stress management, #what about you,#NO LIMI

15 – Un giorno Cloud mi domandò…

15 – Un giorno Cloud mi domandò…

L’altro giorno Cloud, il mio più caro amico, mi ha posto una domanda: ”tu che ideali hai?

Li per li rimasi ammutolito… non sapevo cosa rispondere.

Vedi, mi incalzò, nella nostra vita, usiamo spesso la parola “ideale” ma quando qualcuno ci pone questa domanda si rimane interdetti e spesso non riusciamo a dare una risposta sensata. Prova a pensare al suo significato. Se consultiamo il dizionario  scopriamo  che un suo sinonimo é “PERFEZIONE” e  scopri che questo è il punto più alto che una persona può raggiungere nel suo sviluppo personale. 

Una persona ad esempio può avere una bellezza ideale , un carattere perfetto ideale e moltissime altre cose. 

Si potrebbe dire che avere degli ideali sia come avere un magnete che ci attrae…giusto?

Non potei che dire SI!

Ora mi era diventato chiaro il concetto e potei  quindi rispondere al mio amico  elencandogli con dovizia di particolari quali fossero i miei IDEALI. E, con sorpresa , mi resi conto di averne diversi e di diverso “IMPATTO” su di me.

Cloud  a questo punto mi interruppe…: Noi  tutti abbiamo, più o meno consapevolmente,  degli ideali.

Non importa quali siano . Essi  hanno un effetto  profondo sulla tua vita, proseguì Cloud, il segreto  per sprigionare  tutta la tua vera forza é darti delle mete, scegliere degli IDEALI  che siano abbastanza  affascinanti  da ispirarti e tanto intriganti da coinvolgere tutte le tue capacità, tutta la tua creatività e soprattutto ACCENDERE LA TUA PASSIONE.

Questo mi fece ricordare  il giorno in cui un mio cliente mi disse: vedo in te l’antica fiamma della passione. Quel giorno, in effetti, riuscii a fare una presentazione talmente infervorata che lasciai  tutti i presenti  senza parole. Fu un momento fantastico. 

Vedi Alex, riprese Cloud, quando hai un ideale ben chiaro in testa non solo riesci a fare le cose che vuoi ma lo trasmetti e …credimi, le persone amano avere a che fare con le persone appassionate. 

Quindi adesso prendi carta e penna e fai un brain storming (pensare a ruota libera) su tutto ciò che credi valga la pena darti da fare . Poi scegli lo scopo che ti appassiona di più, qualcosa che ti faccia  alzare presto e lavorare fino a tardi . Assegnati  un limite di tempo per realizzarlo  e scrivi una frase  per spiegare perché non puoi far altro  che rispettare la scadenza.

E’ un progetto abbastanza grande da essere una sfida?

Un progetto che ti spingerà  oltre i tuoi limiti?

Un progetto che  ti porterà  scoprire le tue reali potenzialità?

Tratto da: “What about you”
14 – DECIDI di definire il tuo sogno

14 – DECIDI di definire il tuo sogno

Walt Disney diceva:” credi nei tuoi sogni non importa quanto possano sembrare impossibili.”,

Abbiamo detto anche: “non fare dei tuoi sogni un desiderio,fanne una scelta…Fa la differenza!.

Il Mahatma Gandhi diceva:”chi sa concentrarsi su qualcosa e perseguirla come un unico scopo ottiene, alla fine, la capacità di fare qualsiasi cosa”

Tre grandi personaggi con tre grandi indiscutibili verità ma….

Ma come fai a trasformare  ciò che NON ESISTE in qualcosa di tangibile?

Ebbene, il primo passo é definire il tuo sogno con precisione; l’unico limite in ciò che puoi compiere  sta nella capacità  che hai di definire  con precisione i tuoi sogni e nella DECISIONE di volerli trasformare in una scelta..

Cominciamo  adesso a definire e focalizzare  i tuoi sogni e nei giorni seguenti  definiremo un progetto  che ti assicurerà la loro riuscita.

Non fare l’adulto e , per una vota, torna bambino ed entra nel regno del “Tutto é possibile” o se preferisci entra nel “paese delle meraviglie”.

Comincia ORA…non domani o dopo…ORA

Decidi di farlo ORA..non domani o dopo…ORA

Ma come si fa a parlare di REALTA’?

Ma come si fa a parlare di REALTA’?

Siamo intrappolati in una scatola priva di qualunque apertura verso l’esterno, vediamo il mondo attraverso due periferiche che inviano qualcosa (immagine rovesciata, sbiadita con un bel foro al centro dell’immagine ) al cervello il quale ricostruisce ed interpreta le informazioni ricevute proponendoci un’ immagine parziale (ad esempio non vediamo tutte le lunghezze d’onda) arricchendola (I colori non esistono ma noi crediamo di vederli). Udiamo i suoni tramite due periferiche (le orecchie) che inviano qualcosa di parziale (non udiamo tutte le frequenze) al cervello che decodifica e trasforma in un qualcosa di comprensibile per noi. Comunichiamo in forma scritta con dei segni su un foglio o in forma verbale con dei suoni codificati certi che “l’altro” li interpreterà entrambi proprio come vogliamo noi proprio secondo quello che noi crediamo la raltà delle cose.. Ci rendiamo conto che noi non sappiamo proprio cosa sia la realtà . Eppure tutti i giorni sento persone dichiarare che la realtà giusta è la loro, che loro sono i detentori della verità perchè “la realtà delle cose è..” ecc.. Tra noi e la realtà ci sta di mezzo una scatola ed un sofisticato elaboratore che INTERPRETA le informazioni ricevute le RICOSTRUISCE a suo uso e consumo e ci propone una “SUA” realtà .

Cervello e Mente sono la stessa cosa?

Cervello e Mente sono la stessa cosa?

La risposta  è:  no.  Il cervello è un organo, composto da neuroni e cellule gliali ed altro, con un peso di circa 1,5 kg e contenuto nella scatola cranica. La mente invece è una complicatissima funzione che emerge dall’interazione di numerose funzioni svolte dai neuroni che compongono quest’organo. In effetti è qualcosa di davvero stupefacente e per comprenderlo bisogna accettare una frase cara alla psicologia della Gestalt:

Il tutto è più della somma delle parti

Vale a dire che non si può spiegare la mente guardano al funzionamento di un solo neurone, ma se si ripete miliardi di volte lo stesso funzionamento e si aggiunge l’interazione tra essi, a quel punto emerge una proprietà che non esisteva al livello precedente. Così la mente emerge dall’interazione tra miliardi di singole cellule.

Vocabolario Treccani

ménte s. f. [lat. mens mĕntis, affine al lat. meminisse e al gr. μιμνήσκω «ricordare»]. – 1Il complesso delle facoltà umane che più specificamente si riferiscono al pensiero, e in partic. quelle intellettive, percettive, mnemoniche, intuitive, volitive, nella integrazione dinamica che si attua nell’uomo

La Mente è uno dei concetti più affascinante e difficile da afferrare. Vi sono due correnti di pensiero: la prima, coerente con la visione riduzionista della scienza ufficiale, sostiene che la mente sia un fenomeno puramente cerebrale e che ogni attività mentale abbia luogo in una precisa area del cervello; la seconda suggerisce che essa sia qualcosa di più sottile della semplice materia cerebrale e si estenda ben oltre il corpo fisico.
I neuro scienziati e i fisici credono che mettendo in atto un’infinità di esperimenti tendenti a scomporre la materia e il cervello, si possa arrivare alla fine a comporre il puzzle di tutti i risultati parziali e spiegare sia la realtà fisica sia fenomeni complessi e poco tangibili come la mente e la coscienza.
Secondo Karl Pribram ed altri la mente è un ologramma che registra la sinfonia complessiva degli eventi vibratori del cosmo.
Il fisico Alain Aspect ha dimostrato sperimentalmente che le informazioni scambiate tra le particelle elementari sono di tipo non locale e avvengono ad una velocità superiore a quella della luce, perché allora non supporre che la stessa cosa possa avvenire anche per lo scambio di informazioni tra gli esseri viventi essendo anch’essi costituiti da particelle elementari?

Il biologo Sheldrake asserisce che esistono campi d’informazione, chiamati anche campi morfogenetici, che si estendono nello spazio. Tutti gli esseri viventi possono accedere a questi campi attraverso il loro cervello. Poiché secondo questa teoria la Mente e la Coscienza sono campi non localizzati nel corpo, ai quali tuttavia è possibile accedere tramite organi materiali come il cervello, possiamo dedurne la loro indipendenza dal corpo e conseguentemente la  sopravvivenza alla morte fisica.
Secondo Sheldrake ogni stato mentale di un individuo può entrare in risonanza con quello di tutti gli altri esseri viventi e scambiare informazioni. Se tutti siamo collegati tramite i campi morfogenetici allora fenomeni extrasensoriali come la telepatia e la sensazione di essere osservati possono essere facilmente spiegati.

I Neuroni

I Neuroni

La scoperta del neurone. Era il 1873 quando unainserviente di laboratorio buttò per sbaglio nella spazzatura un pezzo di cervello destinato aessere sezionato e studiato. Qualche ora prima, nella stessa spazzatura, lo scienziato italiano Camillo Golgi aveva buttato del nitratod’argento. Il mattino dopo,recuperato il pezzo di cervello, Golgi notò che il tessuto nervoso aveva assorbito il colorante alla perfezione, con ineuroni ben visibili in nero. Così Golgi scoprì un metodo di colorazione del tessuto nervoso (ancor oggi in uso) che gli permise di identificare per primo il neurone. Fece però un errore quando affermò che i neuroni formavano una rete continua di fibre. Inseguito lo spagnolo Santiago Ramón y Cajal accertò che ogni neurone rappresenta un’unità anatomica distinta e che tra due neuroni c’è sempre un varco. I due scienziati nel 1906 condivisero il Nobel per la scoperta del neurone.

Ma veniamo ai mattoni del cervello, i neuroni: cellule specializzate nel raccogliere, elaborare e trasferire impulsi nervosi. Dal loro corpo cellulare si diramano vari rametti, i dendriti, e un ramo più grosso, l’assone. I primi ricevono i segnali in arrivo, il secondo conduce i messaggi in uscita. Grazie a dendriti e assoni, il numero totale delle connessioni che i neuroni di un cervello umano riescono a stabilire supera il numero di tutti i corpi celesti presenti nell’universo.

L’esistenza di queste connessioni, o sinapsi, fu scoperta alla fine del XIX secolo dal fisiologo inglese Charles Scott Sherrington, anche se non si tratta di connessioni fisiche perché tra due neuroni si interpone sempre una microscopica fessura. Per superare questo varco, i segnali cambiano faccia: da elettrici, diventano chimici. La terminazione dell’assone rilascia sostanze, dette neurotrasmettitori, che sono raccolte dagli appositi recettori presenti sulla membrana della cellula-obiettivo.

Catturato il neurotrasmettitore, il messaggio chimico viene riconvertito in impulso elettrico. Per rendere il viaggio più veloce, sull’assone l’impulso procede a balzi. L’assone, infatti, è ricoperto da un materiale isolante chiamato “guaina mielinica”, che però lascia scoperti alcuni punti: i nodi di Ranvier. E “saltando” da un nodo all’altro, l’impulso raggiunge i 400 km/h.

I MESSAGGI CHIMICI. I neurotrasmettitori sono come parole di un linguaggio limitato ma molto complesso, composto da appena una cinquantina di vocaboli, ma capaci di fornire istruzioni dettagliate. Purtroppo non esiste ancora un vocabolario per tradurre i messaggi chimici, ma possiamo almeno raggruppare i neurotrasmettitori in due gruppi distinti: quelli ad azione rapida e quelli ad azione lenta.

Tra i primi troviamo molecole come l’acetilcolina, l’adrenalina, la noradrenalina, la dopamina, la serotonina: molecole di piccole dimensioni, che hanno il compito di provocare risposte immediate, dalla percezione di un profumo alla reazione (per esempio, un sorriso).

Del secondo gruppo fanno parte i “neuropeptidi” (i più noti sono la somatostatina e le betaendorfine): grosse molecole, lente ad agire ma capaci di indurre modifiche durevoli. Danno per esempio forma alle sinapsi, ma possono anche ridurre i recettori per un certo neurotrasmettitore, rendendo così i neuroni “sordi” a certi comandi.

La struttura del neurone. Un neurone, rivestito dalla guaina mielinica (fatta di cellule di Schwann e oligodendrociti). Il segnale va dai dendriti all’assone ed esce dalle sinapsi.

I ricordi? Sono percorsi “facilitati”. Abbiamo già visto che due neuroni, per comunicare, si scambiano sostanze chimiche che li inducono a generare particolari impulsi elettrici. Immaginate di ripetere questo processo milioni, miliardi di volte e avrete descritto, pur se in maniera semplificata, il trasferimento di un’informazione (visiva, acustica…) all’interno di un circuito neuronale del cervello umano. Ma questo che relazione ha con i processi di apprendimento, memorizzazione e ricordo?

Vediamo un caso semplice. Immaginiamo per esempio di cogliere un fiore mai visto prima e caratterizzato da un profumo piacevolissimo. Questo tipo di informazione viaggerà dalla mucosa olfattiva (la parte interna del naso che “sente” gli odori), lungo il nervo olfattivo, fino alla parte della corteccia cerebrale organizzata per analizzare e comprendere i profumi. Nel fare ciò, l’informazione attraverserà un numero enorme di sinapsi creando l’equivalente di un “sentiero” neuronale. Al ripetersi dell’esperienza, l’informazione viaggerà nuovamente lungo lo stesso percorso rinforzandolo ancora di più, proprio come il passaggio di molte persone in un bosco crea un autentico sentiero.

MEMORIE ACCOPPIATE. Questo processo, chiamato “facilitazione”, è, con tutta probabilità, la base fisica dei processi di apprendimento e memorizzazione: quando un’informazione è passata un gran numero di volte attraverso la medesima sequenza di sinapsi, le sinapsi stesse sono così “facilitate” che anche segnali o impulsi diversi, ma attinenti (per esempio il nome del fiore che ha un certo profumo) generano una trasmissione di impulsi nella stessa sequenza di sinapsi. Ciò determina nel soggetto la percezione dell’esperienza fatta in precedenza numerosissime volte, e cioè il sentire quel piacevole profumo anche se il profumo non viene in realtà “sentito”. Ecco generato il ricordo.

Lo stesso accade quando si cerca di memorizzare un nuovo numero telefonico o un nuovo numero del Bancomat: occorrerà ricomporlo più volte prima di fissarlo nella memoria. A meno che non si usino strategie di memorizzazione che legano il nuovo numero a percorsi già formati… sarebbe facile per esempio ricordare un numero come 191518 collegandolo al concetto “Prima guerra mondiale” (cominciata nel 1915 e finita nel 1918).

Questo meccanismo spiega anche un altro piccolo mistero: perché mai, quando abbiamo imparato una canzone o una poesia, è così difficile recitarla partendo dalla seconda strofa e non dallinizio? Proprio perché l’intera memorizzazione fa parte di un percorso “facilitato”: solo imboccandolo dall’inizio si riesce a ripercorrerlo senza difficoltà.

Ovviamente il processo dell’apprendimento è molto più complesso.

SINAPSI IN COSTRUZIONE. Una cosa però è certa: alla base della memoria c’è la plasticità neuronale. Con queste parole si definisce l’abilità del cervello di plasmare se stesso attraverso il continuo rimodellamento delle sinapsi vecchie e la creazione di sinapsi nuove. Il cervello è infatti in costante rimodellamento, ed è proprio per questo che si deve mantenerlo sempre in esercizio per garantirne l’efficienza.

Certo, è legittimo pensare che l’apprendimento sia qualcosa di più della ristrutturazione di un certo numero di sinapsi… ma esiste una prova concreta che senza la plasticità neuronale non saremmo più capaci di apprendere. E nemmeno di imparare a memoria la “Vispa Teresa”.

Innanzitutto, una premessa: per essere “plastico”, il cervello deve poter fabbricare rapidamente nuove proteine. La semplice espulsione del neurotrasmettitore dall’estremità dell’assone richiede la presenza di proteine: il loro compito, in questo caso, è quello di spingere le vescicole piene di neurotrasmettitori in prossimità della membrana pre-sinaptica. Altre proteine hanno una funzione simile a quella delle gru nelle costruzioni edilizie: spostano i dendriti e gli assoni in nuove posizioni, dove possono connettersi con altre cellule prima fuori portata. Ebbene, è stato notato che l’uso di farmaci capaci di bloccare la sintesi proteica blocca anche apprendimento e memorizzazione. Il cervello, insomma, non impara se non modificandosi.

Tutto in otto mesi.

Durante la vita fetale, l’organismo produce non meno di 250 mila neuroni al minuto. Ma 15-30 giorni prima della nascita, la produzione si blocca e per il cervello comincia una seconda fase che durerà per tutta la vita: la creazione di connessioni tra le cellule.

In questo processo, le cellule che falliscono le connessioni vengono eliminate, tanto che al momento della nascita sono già dimezzate. La moria diviene imponente dai 30-40 anni quando, senza che l’organismo le sostituisca (la rigenerazione di neuroni è stata realizzata solo in laboratorio), le cellule cerebrali cominciano a morire al ritmo di 100 mila al giorno, circa 1 al secondo. Per fortuna non c’è un corrispondente declino mentale: la capacità di creare nuove connessioni preserva infatti le facoltà mentali acquisite.

Articolo tratto da: www.focus.it